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UNA SANITÁ SENZA MEDICI? SITUAZIONE ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE.

27 Mar 2017

UNA RIFLESSIONE DEL NOSTRO CONSIGLIERE ANTONIO LA TORRE

 

Il Trentino Alto-Adige è probabilmente una tra le prime Regioni in Italia a risentire in modo significativo della carenza di personale medico: la recente chiusura del punto nascita di Cavalese ne è  una prova evidente, soprattutto se si considerano i tentativi posti in essere per reperire il personale necessario per mantenerlo operativo e funzionante.

Nel corso degli ultimi anni i mass media hanno dato ampio risalto alla carenza di personale medico in Italia, in conseguenza della  quale si sta già registrando e si verificherà in modo ancora più drammatico un  grave problema organizzativo nelle aziende sanitarie.

La questione della carenza dei medici è un problema noto in realtà da diversi anni, essendo stata  già sollevata alla Camera dei Deputati  in data giovedì 14 ottobre 2010, quando l’On. Anna Margherita Miotto (PD) presentò al Ministro della Salute dell’epoca  (on.  Livia Turco) un’interrogazione dal titolo: “Situazione del personale medico impiegato nel Servizio sanitario pubblico”. L’on. Miotto sottolineava già all’epoca  come nel corso dei prossimi cinque anni e, soprattutto, dei prossimi dieci vi sarebbe stato il rischio concreto di una grave carenza di personale medico nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale. Il sottosegretario Francesca MARTINI rispondeva all’interrogazione in titolo nei termini riportati qui di seguito. «Dalla valutazione dei dati raccolti, relativi alla attuale distribuzione per età dei medici e dei veterinari impiegati nel Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) (fonte INPDAP, dati sugli iscritti alla Cassa Pensione Sanitari, anno 2006), si evince una forte concentrazione di personale nella fascia di età superiore o uguale a 60 anni. Sulla scorta di questi elementi, si stima, quindi, che circa 17.000 medici lasceranno il Servizio Sanitario Nazionale entro l’anno 2015. Considerando il numero medio annuo di laureati in Medicina e Chirurgia e la quota di questi medici che è immessa annualmente nel S.S.N., ci si aspetta, a partire dal 2012, un saldo negativo tra pensionamenti e nuove assunzioni. Si stima, inoltre, che la  forbice tra uscite ed entrate nel S.S.N. tenderà ad allargarsi negli anni a seguire, data la struttura per età ed il numero di immatricolazioni al corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Verosimilmente, tale scenario risulterà ancora più marcato nelle Regioni  con piani di rientro a causa del blocco delle assunzioni.  Ciò considerato, questo Ministero già da alcuni anni provvede a richiedere un ampliamento dell’offerta formativa, ossia del numero delle immatricolazioni al corso di laurea in Medicina e Chirurgia (…)». Il sottosegretario Francesca MARTINI  proseguiva poi affermando che «(…) tenendo conto che il percorso formativo di un medico si completa incirca 10 anni, occorrerà attendere il 2019 affinché il maggior numero di laureati/specializzati sia disponibile sul mercato del lavoro. (…)  In sintesi, ci si attende una carenza dal 2012 al 2018 di 18.000 unità di personale medico nel SSN e di circa  22.000 medici dal 2014 al 2018 in totale (…)» [1].

Il problema della carenza dei medici è oggi purtroppo una realtà tangibile anche  in Trentino (particolarmente nelle Valli)  e le prospettive saranno, visto quanto sopra riportato, critiche  almeno fino al 2019.

Dal 2020 in realtà la situazione potrebbe peggiorare ancora di più, per lo meno se sono realistiche  le stime di alcuni recenti studi.

Una recente ricerca del sindacato dei medici Anaao Assomed disegna infatti  un domani estremamente preoccupante per l’assistenza ospedaliera. Secondo tale  ricerca, infatti, si accentuerà (in particolare tra il 2021 e il 2025) il saldo negativo tra pensionamenti e nuove assunzioni, per cui si stima  che in circa 10 anni verrebbero a mancare complessivamente circa 7280 medici specialisti [2].

Di tenore simile anche un recente (gennaio 2017) report della FP (Funzione Pubblica) Cgil che ha analizzato i dati del Conto Annuale della Ragioneria generale dello Stato: da una rielaborazione di questi  dati, la   FP-Cgil disegna una sanità che si «impoverisce», non solo nelle risorse economiche ma anche in quelle umane, e che «rischia seriamente il tracollo» in termini di tenuta dei servizi ai cittadini.  Il report della Fp Cgil parla in particolare di 40.364 lavoratori persi dal 2009 al 2015. Si tratta – sempre secondo la FP Cgil – di circa 8.000 medici, quasi 10.300 infermieri e 2.200 Operatori di Assistenza (Oss, Ota e Ausiliari) e all’incirca 20.000 lavoratori tecnici, riabilitativi, della prevenzione e amministrativi. Nel solo 2015 – rileva la Fp Cgil – si sono persi oltre 10.000 lavoratori, dato che proiettato sul 2016 porta l’«emorragia» di personale a 50 mila lavoratori in meno dal 2009 [3].

La situazione appare indubbiamente  critica per i medici specialisti: «I medici che escono dai percorsi di specializzazione non coprono nemmeno il 50% del turn over necessario». A lanciare l’allarme per la mancanza di medici è il direttore dell’Azienda sanitaria del Trentino Paolo Bordon, che così dichiarava nel corso di un’intervista rilasciata nel giugno 2016 ad un quotidiano trentino [4].

Altrettanto preoccupante è la situazione dei medici di medicina generale (comunemente  conosciuti come «medici di famiglia»): secondo quanto riportato dal quotidiano “La Stampa”, si stima che entro il 2023 ce ne saranno 16.000 in meno [5]. Lo dicono i dati dell’ENPAM (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici, l’ente nazionale di previdenza per i medici e gli odontoiatri), presentati nell’ottobre 2016 durante il congresso nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale (FIMMG). Calcolando che mediamente ognuno dei medici di medicina generale ha oggi circa 1200 pazienti, ciò comporterà che un assistito su tre rimarrà senza medico. Di tenore analogo sono le dichiarazioni del coordinatore Roberto Stella dell’Area Formazione della FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) [6].

Alla luce dello scenario non certo rassicurante di cui sopra, è d’obbligo chiedersi come mai il calcolo del “fabbisogno” (termine utilizzato per la quantificazione delle risorse umane necessarie per l’organizzazione del SSN) di personale  sanitario presenti criticità così macroscopicamente evidenti. A tale proposito è utile  riportare alcuni punti dell’interessante articolo dell’esperto del “Sole 24 ore Sanità” Stefano Simonetti, il quale ha recentemente  (16 febbraio 2017) scritto [7] che «con  il termine “fabbisogno” si delineano almeno tre scenari diversi. Il primo concerne il fabbisogno di personale sanitario da formare. Il secondo consiste in un atto di alta direzione – forse il più importante dopo il bilancio – che le aziende sanitarie devono adottare all’inizio dell’anno. Il terzo è quello attualmente oggetto di grande dibattito.

(…) Riguardo al primo scenario va segnalato che da anni l’accesso alla formazione di base, per tutte le figure professionali sanitarie, è a numero programmato. Ciascuna Regione, infatti, formula annualmente al ministero della Salute le proposte per la determinazione del fabbisogno del personale sanitario, sul quale viene basata la programmazione degli accessi ai corsi di laurea e alle scuole di formazione specialistica da parte del ministero dell’Università. Per determinare in forma rigorosa e metodologicamente corretta il numero di accessi, calcolati generalmente per un triennio, necessari a coprire il fabbisogno dei servizi sanitari, viene solitamente avviata una rilevazione dati sia dell’organizzazione del lavoro, coinvolgendo le aziende sanitarie e la sanità privata, sia di quello formativo, con il coinvolgimento degli Atenei, in particolare delle facoltà di Medicina e chirurgia.

Come si vede – continua Stefano Simonetti – si tratta di una programmazione altamente capillare e su basi scientifiche: peccato che di fatto serva a poco. La programmazione in tal senso è strumentale quasi esclusivamente alle esigenze delle università e rischia sempre di più di trasformarsi in una fucina di disoccupati o, nella migliore delle ipotesi, di precari. Questo perché le necessità assunzionali rilevate vengono regolarmente frustate dai continui vincoli finanziari posti alle assunzioni senza contare la ricorrente variabilità dell’età di pensionamento che, ovviamente, consente ben poche proiezioni.

Il secondo contesto è quello che viene normativamente prescritto dall’articolo 6 del Dlgs 165/2001, attualmente in fase di revisione per effetto della delega ex articolo 17 della legge 124/2015. Ogni amministrazione pubblica deve adottare il “piano triennale dei fabbisogni di personale” nel quale sono ricomprese tutte le tipologie di reclutamento, incluse le assunzioni obbligatorie e la mobilità. Questo atto è di fondamentale valenza strategica ma, nei fatti, rivela molte criticità. Sono numerose infatti le aziende sanitarie che nemmeno lo adottano, quelle che lo adottano e non lo realizzano e quelle che assumono comunque prima dell’ adozione formale.

Il terzo, infine, ha assunto una primaria importanza a seguito dell’entrata in vigore della legge 161/2014 che ha ripristinato le regole comunitarie in tema di orari e riposi del personale sanitario. Come è noto, i vincoli alla durata massima della settimana lavorativa e quelli sul riposo giornaliero hanno creato non poche difficoltà alle aziende sanitarie (…).  La legge indicava due strade per fronteggiare le criticità: razionalizzare i servizi e ricercare «una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili».  La prima indicazione ha comportato negli ultimi due anni una compulsiva operazione di accorpamento di aziende (e conseguentemente di servizi e strutture) da parte di tutte le Regioni. La seconda indicazione, invece, non ha prodotto significativi risultati in quanto l’obiettivo di efficientazione presuppone delle sinergie tra il livello nazionale e il livello locale rispetto alle quali è stato fatto nulla o pochissimo (…).  

Con un anno di ritardo il legislatore prende atto del problema “fabbisogni” e con la legge 190/2015 (articolo 1, comma 541) delinea un percorso estremamente complesso per la verifica di tali fabbisogni di personale. Vennero coinvolti addirittura tre Tavoli tecnici per controllare i piani regionali e la soluzione finale era l’indizione di “concorsi straordinari per sopperire alle rilevate necessità. È trascorso più di un anno e questi fantomatici «concorsi straordinari» sono stati protratti dal recente decreto Milleproroghe fino a tutto il 2018 – con buona pace delle criticità urgenti – e siamo proprio in questi giorni in pieno dibattito sulle metodologie di costruzione dei fabbisogni».

Il dibattito di cui scrive Stefano Simonetti dalle pagine del “Sole 24 ore Sanità” risulta estremamente complesso alla luce di divergenze interpretative circa il reale  fabbisogno di personale sanitario.  Secondo Simonetti, «il ministro della Salute scarica le colpe sulle Regioni e queste le rinviano al Governo che taglia i finanziamenti. I sindacati sono critici nei confronti di tutti e chiedono continuamente adeguamenti organici e stabilizzazioni». La situazione è ancora più complessa se si considera che  qualsiasi decisione della Commissione mista Regioni-ministero della Salute (uno dei tre Tavoli tecnici di cui al comma 541  della  legge 190/2015) deve essere vagliata dal Ministero dell’Economia,  che deve infatti  obbligatoriamente “passare” ogni vera decisione in materia. Lo stesso Simonetti fornisce qualche numero: «Il Servizio sanitario nazionale ha perso tra il 2014 e il 2015 ben 10.444 unità di cui 1.797 medici e 2.788 infermieri. Lo stanziamento previsto nella legge di bilancio per il 2017 per le assunzioni è di 75 milioni, che per i due profili indicati non copre neanche il 46% e il 30% – rispettivamente di infermieri e medici – del turn over del solo ultimo anno, altro che potenziamento per la questione orari. (…). I numeri nella loro aridità non dicono granché ma alcune riflessioni le stimolano…».

Numerosi dati convergono dunque sul dato della carenza del personale medico e della sua tendenza ad accentuarsi  nei prossimi cinque anni.

Lo scopo di questo articolo è di mettere in  luce la complessità  della situazione, evitando l’illusoria ricerca di facili quanto magiche soluzioni. Le criticità vanno superate  nell’ambito di una riflessione condivisa e partecipata che coinvolga tutti i cosiddetti stakeholders (“portatori di interesse”):  non solo il livello tecnico e  politico, ma anche la società civile nel suo complesso.

Occorre una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica su un problema che viene generalmente relegato agli addetti ai lavori, quando invece le questioni del Servizio Sanitario rappresentano una questione di interesse generale. In Provincia di Trento (ed in quella di Bolzano ancora di più per via del bilinguismo) la carenza di medici  può  costituire  un problema in grado di  creare serie difficoltà organizzative (la chiusura del punto nascita di Cavalese potrebbe rappresentare  solo la punta di un iceberg), rispetto alle quali urgono riflessioni e scelte condivise.

 

[1] testo integrale del documento della Camera disponibile on line all’indirizzo:

http://leg16.camera.it/_dati/leg16/lavori/bollet/201010/1014/HTML/12/frame.htm

[2] http://www.anaao.it/contenuto.php?categoria=154&gruppo=6&contenuto_id=18830

[3] http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/35427

[4] http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/cronaca/2016/06/17/news/mancano-medici-l-allarme-di-bordon-1.13672379

[5] http://www.lastampa.it/2016/10/05/italia/cronache/tra-sette-anni-un-italiano-su-tre-non-avr-pi-il-medico-di-famiglia-FO960VOBT96PWsts5oMYGN/pagina.html

[6] https://portale.fnomceo.it/fnomceo/showArticolo.2puntOT?id=156324

[7] http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/lavoro-e-professione/2017-02-16/personale-tutte-incognite-fabbisogni-123707.php?uuid=AEod1NX&cmpid=nlqf